ST21 Gazette Settembre 2022
WONKA VINTAGE POP
BY GIULIA WONKA
Mostri sacri: Shirley Temple
“Quando piango, vuoi che le mie lacrime mi righino tutto il viso o si fermino a metà guancia?”
È questa forse la citazione che meglio rappresenta Shirley Temple. Una fermezza, un distacco e sicuramente altre innate doti che le hanno consentito di diventare un’icona senza tempo, la bambina più famosa del globo, milionaria a 8 anni grazie ai suoi film.
Nata il 23 aprile del 1928 a Santa Monica, muove i primi passi nel mondo dello spettacolo a soli tre anni, a quattro debutta sul grande schermo e da allora è protagonista di film non di grande valore e spesso fatti senza particolare cura, con trame o personaggi simili, quasi tutti per buona parte costruiti attorno alla sua fama e ai momenti in cui canta e balla, conquistando chiunque.
Nel 1934 con i suoi successi salva la Fox dalla bancarotta vincendo il suo primo Oscar giovanile, premio istituito appositamente per lei. Diventa anche l’emblema del New Deal rooseveltiano, lo stesso Roosevelt disse “finché il nostro paese avrà Shirley Temple, noi staremo bene”.
Shirley era molto diversa dai bambini americani dell’epoca, magri, sporchi, che portavano ancora i segni della Grande Depressione. Era messa lì a compensare la realtà, a edulcorarla e renderla rappresentabile. In ciascuna delle 43 pellicole girate è l’emblema dell’ottimismo, si ritrova ad affrontare infinite disgrazie vedendo sempre il lato positivo ed incredibilmente gli spettatori, parte di una nazione in ginocchio, non sono snervati dal vederla trionfare su qualsiasi avversità cantando e danzando, tutt’altro, ne sono confortati.
Le sue canzoni diventano successi radiofonici, la sua fama la rende per quattro anni consecutivi la star più pagata di Hollywood, arrivando a guadagnare 20mila dollari la settimana, con solo Cary Grant che la supera in termini assoluti. Arriva a lavorare con i più grandi attori dell’epoca, lo stesso Grant, Reagan, John Wayne e addirittura Gary Cooper che sul set le chiede l’autografo. Di lei diranno tutti che non era affatto una bambina innocente, ma al contrario molto ambiziosa e determinata. Smette di credere a Babbo Natale quando a 6 lo incontra al grande magazzino e anche lui le chiede l’autografo.
Shirley Temple fu un fenomeno mediatico e culturale, qualcosa che andava ben oltre il cinema. Fu infatti la prima diva della storia a generare un vastissimo merchandising, a tal proposito IMDb ha scritto «gli spettatori la adoravano e spesero milioni di dollari in prodotti con la sua immagine, bambole, canzoni, tazze, cappelli, vestiti, qualsiasi cosa: se sopra c’era lei, loro la compravano». Qualcuno scrisse che, in quanto a prodotti e merchandising, arrivò persino al livello di Topolino.
Nel 1939 è protagonista di un’opera di Salvador Dalì che la rappresenta come una sfinge, un mostro, il più giovane mostro sacro vivente, a denunciare ciò che Hollywood è in grado di generare.
Nel mondo nascono migliaia di fan club a lei dedicati, e tra i vari membri, in Polonia, troviamo un giovane Andy Wharol che ha una sua foto appesa in cameretta accanto al crocifisso. È bene sapere che i suoi boccoli biondi, suo tratto distintivo, sono un’idea di sua madre: Shirley aveva i capelli scuri e lisci, troppo anonimi per farsi notare, decise così di creare il mito dell’enfant prodige più famosa di Hollywood rendendola bionda e creando ogni mattina 56 boccoli perfetti.
Quest’immagine così angelica rimanda ad un accostamento religioso non così improbabile. Nel suo immaginario, il cristianesimo ha trasformato delle figure divine o spirituali in bambini da adorare: basti pensare a Gesù bambino, che non compare nel Vangelo eppure esistono diverse chiese dedicate alla figura di Gesù infante, stesso discorso vale per il culto di Maria bambina, un’osservanza spirituale che non ha nessuna attinenza coi Vangeli, o al corredo di putti e angioletti che riproduce bambini nudi, ricci e biondi. Shirley è quindi un’icona commerciale, laica e misteriosamente spirituale allo stesso tempo.
Il tempo però è il suo nemico più grande, tant’è che il suo certificato di nascita venne modificato per prolungarne l’infanzia di un anno (dal 1928 al 1929). Mentre si avvicinava all’adolescenza, gli spettatori persero interesse nel suo personaggio, cosa che la portò al ritiro a 22 anni, dopo la Seconda guerra mondiale. Fece quindi televisione, conducendo programmi di vario tipo e andando ospite in altri. Negli anni Sessanta iniziò a fare politica attiva per il Partito Repubblicano della California e fece poi carriera nel mondo diplomatico.
Morì a 85 anni nel febbraio 2014, a quasi ottant’anni dal momento della sua massima fama da attrice, cantante e ballerina bambina. Restando però nell’immaginario di molti, anche molti che i suoi film non li hanno mai visti, l’iconica Shirley Temple, la sorridente attrice bambina dai boccoli biondi.
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Dancing with MonnElisa
BY ELISA PEANO
Ciao a tutti, mi chiamo Elisa, ho vent’anni e sono una studentessa e ballerina. La danza è sempre stata una delle mie passioni, insieme all’arte e, da qualche anno a questa parte, anche il giornalismo.
Adoro passare le ore ad ammirare quadri su quadri, in particolare se appartenenti al periodo post-impressionista, ma non mi tiro indietro di fronte a nessuna mostra; Guernica di Picasso è la mia opera preferita, ricordo a distanza di anni l’emozione che ho provato nel vederla.
Ho deciso così di amalgamare questi interessi in un unico progetto e da qui nasce la mia rubrica.
Il titolo sarà “Dancing with MonnElisa”, ma prometto che la nota Gioconda non farà parte di questo viaggio, il titolo però racchiude in modo efficace i due ambiti di cui racconterò, la danza e l’arte. Ogni mese scriverò di un artista e di un suo quadro che ha come tema principale la danza, attraverseremo così diversi stili, periodi e culture.
Mi piacerebbe dimostrare quanto la pittura e la danza siano forme d’arte che, seppur con espressioni molto diverse, si somigliano e vorrei raccontare come il mondo della danza sia riuscito ad affascinare grandi artisti che sono stati in grado di racchiudere l’essenza del movimento in un’unica immagine.
L’obiettivo è complesso e cercherò di esserne all’altezza, ma sono certa che la bellezza delle opere che vi proporrò mi aiuterà.
Spero che il mio racconto vi abbia incuriosito e ci vediamo il mese prossimo.
Vi anticipo che il nostro viaggio comincerà con uno dei pionieri del movimento impressionista, un’artista di origine francese le cui opere vengono definite come lo specchio della vita bohémien di fine ottocento.
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GLI INDIMENTICABILI
LO SAPEVI CHE…
Parliamo della foto di copertina di Straight Outta Compton degli N.W.A
La foto risale al 1988 ed è stata scattata a Los Angeles da Eric Poppleton, fresco di laurea all’Istituto d’Arte della California, che grazie a Kevin Hosmann, un amico che al tempo faceva il direttore artistico alla Capitol Records, riuscì a entrare in contatto con il gruppo gangsta rap che avrebbe fatto parlare di sè per gli anni a venire: gli N.W.A.
Eric prima di scattare questa iconica copertina aveva già realizzato la foto per la copertina di Eazy-Duz-It di Eazy-E, la sua prima foto che centrasse in qualche modo con la musica, se ci aggiungiamo che di rap non ne sapeva nemmeno molto tutto questo rende ancora più incredibile come questa foto sia diventata il simbolo di un intero genere e di un’intera epoca.
We had a very professional relationship and it wasn’t until years later that I found out the impact of the album cover.
(Eric Poppleton)
Avevamo un rapporto veramente professionale e sono passati anni prima che io scoprissi l’impatto della cover dell’album.
La foto in sè fu un’idea di Eric e Kevin, i due in giro per la periferia di Los Angeles e con un budget ridicolo da spendere nel set e senza luci artificiali, hanno così dovuto far lavorare il cervello: semplicemente Eric si è sdraiato per terra e gli hanno puntato una pistola addosso, sperando che fosse finta. Ma così non era. Eazy gli puntò un vero revolver in camera.
Eric lavorò un altro paio di volte con gli N.W.A. per poi smettere con l’industria musicale e lavorare su pubblicità e panorami ma quella foto, nata da un’idea così semplice, quella di essere al posto di uno che sta per beccarsi una pallottola in fronte, ha consegnato un album alla storia.
Curiosità: nella copertina sono in 6, infatti oltre a Eazy, Dre, Ice Cube, Ren e Yella appare anche Arabian Prince, che al tempo della formazione del gruppo era probabilmente il più famoso a L.A. con il suo electro-hop, ma dopo il primo tour capì che il gangsta rap non era quello che voleva fare e così uscì dalla formazione continuando una carriera da DJ. Ora si occupa di realtà aumentata in Corea.