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HO UN BEL CORPO

di Giulia Fiorellino

Mi chiamo Giulia Fiorellino, ho 24 anni (quasi) e nella vita non ho un ruolo definito da inserire in quelle caselle dei sondaggi. Non sono disoccupata, ne lavoratrice, ne studentessa. Per ora però. Ho così tante cose che mi piacciono che trovo difficile deciderne una. Una cosa però di me posso dirvela. Sono sempre stata grassa. OH MIO DIO HA DETTO GRASSA. Non è una parolaccia, si può dire. Solo che magari ci sono modi e modi per dirlo. Ed è di questo che voglio parlare. Ho aperto una pagina Instagram unendo la mia passione per il disegno e questi concetti quasi sconosciuti. Per esempio, e ora torno sul discorso, la grassofobia. Alzi la mano chi sa cos’è la grassofobia! Sicuramente ne avrete sentito parlare, sicuramente avrete letto qualcosa.

Lo stigma sociale dell’obesità o della fobia ha causato difficoltà e svantaggi alle persone in sovrappeso e obese. Lo stigma del peso è simile ed è stato ampiamente definito come pregiudizi o comportamenti discriminatori mirati agli individui a causa del loro peso. Io lo vivo ogni giorno, e ogni giorno devo fare un lavoro su me stessa, per andare oltre questo stigma sociale.

I miei disegni sono per tutti però. Non solo per le persone grasse. Cerco ogni giorno di abbattere quei muri di ignoranza e di odio che ogni giorno viviamo sulla nostra pelle. Raffiguro ogni genere di corpo, ogni genere di persona, solo per dire: “Ehi lo so che non ti piaci, ti capisco, ma amati perché le altre persone hanno troppi pregiudizi per farlo”.

La società ci ha imposto dei canoni di bellezza e non tutti hanno la possibilità di arrivarci. Io sinceramente non mi sento sbagliata ad essere grassa, anzi mi piaccio. Chiedo scusa se non faccio quelle diete con le saponette leva grasso solo perché la società mi vuole magra e bella. Io sono bella, sono forte, so cosa voglio dalla vita, so chi sono, e mi amo. Ma mi amo di un amore che so già che nessuno potrà mai darmi. Perché l’amore che provo per me stessa è un amore sincero, senza compromessi e senza vincoli. Conosco i miei limiti, i miei punti di forza e i miei punti di rottura. Ogni giorno è un giorno nuovo per mettermi in gioco, per migliorarmi e amarmi. Ogni giorno, mi guardo allo specchio e mi insulto perché ieri non mi sono amata come avrei dovuto, e mi prometto che oggi sarà diverso, e do il meglio per non farmi buttare giù dalle battutine, dagli stereotipi, dagli sguardi sul pullman, e dall’ignoranza delle persone.

Questo voglio per la mia pagina. Body positive è un movimento troppo grande per stare qui a parlarne. Ma il SELF LOVE , è il motivo per cui sono qui. Non importa se non sei come la società ti vuole, smettila di vergognarti e brilla. Perché ognuno di noi è una bellissima stella che vuole solo brillare. Ce ne sono alcune che brillano di più, ma il firmamento non sarebbe così spettacolare senza di te che brilli nel tuo piccolo. Non spegnerti. Sei preziosa piccola stella. È grazie a te che questo cielo è stupendo. E lo sarai sempre, devi solo crederci, accettarlo e amarti incondizionatamente! Passate a trovarmi su @hounbelcorpo

Vi aspetto❤️

https://www.instagram.com/hounbelcorpo


DEEPLE#5

SERGIO di GENNARO

Per la quinta puntata di questo show mensile vorrei proporvi qualcosa di nuovo. Come ormai avrete capito, l’intento della rubrica è quello di immergerci nelle profondità sconfinate della musica e finora lo abbiamo fatto seguendo alcune correnti dei suoi fondali, il desert blues in Mali, passando per il travolgente suono di tre stravaganti artisti italiani, per poi fare un breve volo panoramico sul mondo della musica Jamaicana. Questo mese però abbiamo un ospite speciale da me intervistato, il primo di altri artisti che in qualche modo hanno influenzato il mio percorso insegnandomi qualcosa, che mi hanno incuriosita o ispirata, personalità di spicco del mondo della musica che tutti i giorni convivono con l’arte e la necessità di guadagnarsi la pagnotta. Soprattutto in questo momento, vorrei portarvi nelle case e nelle vite di questi personaggi sperando che in qualche modo possano ispirare anche voi e aiutarci a reagire con creatività e resilienza, aspettando di tornare a viverci la cultura come piace a noi.  Ecco a voi Sergio Di Gennaro, celebre pianista della scena jazz torinese, il quale ha suonato in tutta Italia e calcato anche palchi europei tra cui quelli dell’elegante Parigi.

Sergio è stato per circa quattro anni il mio insegnante di pianoforte, durante un percorso di scoperta meraviglioso per ora in standby ma latente e pronto a scatenarsi di nuovo. Il mese scorso gli ho proposto questa intervista e lui ha accettato di buon grado portandomi nel suo meraviglioso nuovo studio Bop Spot in quel di San Salvario. Un luogo di aggregazione che sta progettando da zero, ristrutturando una serie di locali sotterranei prima adibiti a chiesa e poi a set fotografico bondage, per cui posso certamente dire che la commistione di energia del luogo sembra essere molto interessante ora che vi circola anche un bel po’ di Jazz. Ma non vi anticipo nulla, io ho preparato alcune domande, lui ha messo un po’ di musica in sottofondo ed ecco cosa ne è uscito!

Com’era la tua vita prima di diventare un musicista?

Allora io ho iniziato a suonare pianoforte da relativamente piccolo, ma non ho trovato subito un insegnante molto stimolante e quindi ho guardato a distanza il pianoforte fino ai 15 anni. A quel punto però mi sono riappassionato, ho provato prima da solo e poi ho cercato dei maestri che fossero sempre più in linea con la direzione che cercavo. Ho iniziato con un maestro di classica che aveva le orecchie un po’ aperte verso il jazz, in seguito ho studiato con un insegnante di jazz qui di Torino, mentre nel frattempo frequentavo lettere.

Non pensavo che avrei fatto il musicista perché credevo che ormai fosse tardi, però è rimasto il mio chiodo fisso. Dunque, ho fatto finta di fare lettere cercando di suonare pianoforte tutto il tempo che potevo. Ci ho messo due anni in più perché volevo vivere la mia vita a metà. Alla fine del triennio mi sono poi iscritto al conservatorio di Alessandria e una volta finito ho conosciuto Barry Harris, celebre jazzista, il quale seguo ancora dopo 15 anni. Sono anche riuscito ad andare a trovarlo a New York e posso dire che abbiamo un bel rapporto. È il mio vero maestro, mentre l’altra mia figura di riferimento a Torino è stato Dado Moroni.

Come mai hai scelto il Jazz?

Guarda mio papà ascoltava della musica che a me non piaceva tanto, perlopiù musica italiana. Ad un certo punto ho sentito dei suoni diversi che mi hanno incuriosito al punto da farmi chiedere spiegazioni al mio maestro. Gli portai una cassettina di Pino Daniele, la cosa più vicina che allora potessi sentire, per chiedergli come si potesse definire quel genere. Lui mi parlò del Blues, del Jazz e mi diede una cassetta di Oscar Peterson e una di Petrucciani. Dalle prime note che sentì fu una folgorazione, decisi che volevo assolutamente approfondire quella musica.

Com’è cominciata poi la tua carriera?

Non te lo so dire, so che avevo un gruppo da ragazzo con cui provavo delle cose, eravamo molto affiatati e ci trovavamo due volte a settimana. Eravamo soprattutto amici e siamo legati ancora ora. Facevamo una musica che era un misto di cose, musica popolare, jazz, fusion, world music. Io provavo a mettere degli accordi, sperimentavo, avevo vent’anni e voglia di provare a suonare. Per me non sono esistiti corsi di musica di insieme con insegnanti che mi seguivano, provavo e riprovavo un po’ da autodidatta. Poi abbiamo iniziato a fare i primi concerti anche all’estero e questa è stata la mia prima esperienza musicale, anche se prima suonavo il basso in un gruppo punk. Poi è diventato un lavoro perché qualcuno ha iniziato a chiedermi di spiegargli delle cose, di scambiare delle conoscenze, mi hanno anche chiesto di tenere un laboratorio in una scuola con degli studenti, anche se all’epoca ero studente io stesso. Ho conosciuto questo lato della musica e dopo il conservatorio ho iniziato a fare i primi concerti. È grazie a questo che ho conosciuto molti colleghi e alcuni di loro mi hanno chiamato da sostituto nonostante fossi molto giovane.

Quel timore ha iniziato ad esserci nei primi concerti seri di jazz, fatti con una big band, un’orchestra. Nella prima esecuzione che feci le partiture erano infinite, mi perdevo negli spartiti, guardavo gli altri per capire dov’eravamo. Ecco quell’esperienza mi ha dato proprio la sensazione della professione, mi ha fatto intuire cosa poteva essere fare il musicista: studiare, prepararsi, salire sul palco con altre persone che si aspettano che tu sia preparato e adeguato… quella ha iniziato ad essere una cosa seria per me ventenne che avevo iniziato a suonare da poco. Però come esperienza mi ha galvanizzato, erano pezzi belli, arrangiamenti americani ed è stato un salto sul mondo musicale da una posizione privilegiata. Quando ho conosciuto altri musicisti, abbiamo fatto i primi quartetti, ci trovavamo per provare, facevamo la nostro musica … pian piano la carriera è cresciuta.

Ho avuto la grande fortuna di avere il sostegno della mia famiglia che mi ha sempre spinto e tutt’ora ci sosteniamo, tant’è che mio padre e sotto che mi aiuta con la ristrutturazione.

E invece le difficoltà, gli insuccessi, le paure?

Tutti i giorni, sempre. Difficoltà, ce ne sono tante e diverse. La principale è quella di non sentirsi mai arrivati, ogni volta che si ascolta un disco sentire di voler imparare e migliorarsi. Ti scontri con i tuoi limiti. Ognuno di noi ha un anelito a migliorarsi e quindi un conseguente senso di incompletezza.Poi c’è la difficoltà della vita, ci devi vivere quando scegli una professione del genere. Facendo il musicista si vive sempre in bilico, non sai mai come andrà ed infatti chi poteva aspettarsi una roba del genere. Paure? Ho suonato più volte a Parigi prima del covid ed erano concerti con un pubblico più esigente, che paga e che si aspetta che tu valga almeno il prezzo del biglietto, ti dà una grande responsabilità. Una città come Torino in cui la musica è sempre stata gratis non responsabilizza il musicista a proporre uno show e non solo proporre se stesso. Quando ho suonato con musicisti internazionali ho capito che loro vendevano uno show. Noi lavoriamo nello show business, la gente vuole essere intrattenuta, non vuole sapere se sei triste quella sera. Più che l’artista nudo e crudo, anche perché si lavora poco, ma poi forse non mi interessa. Noi musicisti di Jazz facciamo intrattenimento, dobbiamo essere preparati ad essere spettacolari. Qui siamo tutti cresciuti con concerti gratis e tu credi di poter fare tutto sul palco invece no, è una roba seria, la gente è uscita di casa e ha scelto te quindi devi darle qualcosa. Poi la paura di non farcela, di non essere abbastanza, del giudizio quando non ti senti preparato abbastanza. Ma su quello ci convivi sempre. Poi ci sono anche tante sicurezze, come quelle di sapere il proprio ma non c’è la spavalderia nel dire “so tutto”. Poi ripeto nella vita del musicista si lotta giorno per giorno sia per ottenere i concerti passando tutto il tempo al telefono e a mandare mail, che per mettere insieme piccoli tour etc. Io suono meno di quanto insegno, ho preso uno studio apposta, un po’ perché non mi piace elemosinare, poi tanto si suona sempre meno e soprattutto mi piace lo scambio e vedere di trasmettere e far progredire. A me piace troppo. Però non è una vita semplice.

Come descriveresti la scena Jazz di Torino e il rapporto con i colleghi?

La competizione c’è, c’è stata e ci sarà. Ci sono tante critiche, anche io le ho nei confronti di ciò che vedo, trovo però che comunque ci vogliamo tutti bene. Ci sono delle famiglie, ma ci sono sempre state, sono musicisti che sono cresciuti stando insieme e sono anche amici e quindi ci sono frequentazioni diverse, ma non perché ci siano delle lotte intestine, perché tra l’altro sarebbe una guerra tra poveri. Io ho un ottimo rapporto con tutti, non ho avuto screzi con nessuno, ho organizzato rassegne quindi sono in contatto con moltissimi musicisti. Ognuno pensa al suo ovviamente, il lavoro non è molto, i posti a Torino per suonare sono davvero pochi e noi siamo troppi.

C’è mai stata qualche difficoltà a conciliare lavoro e famiglia?

Per ora no. Io ho la fortuna di avere una moglie che è un’ex pianista, ha studiato fino all’ottavo di conservatorio, lei stessa è molto appassionata alla musica. È dalla mia parte, se c’è un tour e contenta che io lo abbia. Poi magari adesso con la bambina sarà più complicato, anche se io spero di ripartire.

Come stai affrontando questo momento da artista?

Mi sono buttato nel vuoto. Sto sfruttando questo tempo per studiare ciò che prima non potevo studiare, sto continuando a insegnare ed è una fortuna soprattutto perché mi sento utile a qualcosa. In un momento come questo, nuovo per noi, in cui il lavoro artistico viene vietato, se non lavori proprio per niente ti senti privato della ragione di vita. Chi sono o perché ho deciso di fare il musicista e non il parrucchiere? Io non ho un’utilità. Avere degli allievi ti fa sentire utile perché ti cercano, ti chiedono e tu hai delle conoscenze da trasmettergli. È l’idea di esistenza di un essere umano che ha fatto una scelta di vita e, se la musica non c‘è più almeno trasmettendola resti utile. Ho persone che hanno bisogno di studiare e lo so perché anche io ne ho bisogno, fa parte della nostra vita. Menomale che ci sono ancora persone che sentono questo bisogno e fino ad allora sarò utile. Non lo si fa solo per se stessi, devi essere utile a qualcosa se no ti chiedi proprio che senso hai.

Cinque dischi che ti hanno segnato.

Uno di sicuro è Night Train di Peterson, il primo che ho sentito. Questo proprio lo so. Portrait in jazz di Bill Evans, Straight No Chaser di Monk, poi un live di Ella Fitzgerald che ho consumato e l’ultimo Live agli Champs Elisées di Petrucciani.

Libro preferito?

In questo periodo cade a pennello: Cecità. Ci siamo andati vicino, certe dinamiche che credevamo incredibili si possono realizzare con poco se lo si permette. 

Tu ti senti cambiato?

Ma no guarda sono incazzato nero, non mi si può parlare di restrizioni perché tutto questo mi ha bloccato in un momento in cui ero in crescita, avevo progetti di direzione artistica a Torino e live internazionali che chissà se avranno mai luce. Soprattutto perché vedi le contraddizioni, le chiese aperte, i centri commerciali aperti etc. Siamo confinati, vietati. Quindi non sono cambiato in meglio, le crisi mondiali peggiorano gli uomini a parer mio, portano bruttezza, come la guerra. Non ci può essere miglioramento con la coercizione. Ognuno poi ha la sua responsabilità, di fatto tutto questo ha accresciuto le differenze sociali e la povertà. I miei colleghi che vivevano solo di live è un anno che non vivono, alcuni sono tornati nei loro paesi d’origine. Come fai a non lavorare per un anno? E invece chi fa dei lavori approvati può. Chi decide chi è più utile di qualcun altro?

Io e Sergio ci siamo salutati con un sorriso complice di chi sa cosa vuol dire amare la musica così tanto da volerne fare la propria carriera e con la promessa di rivederci durante un concerto o magari ad una lezione. La chiacchierata è stata così piacevole da lasciarmi una sorta di speranza un po’ indignata, di chi in qualche modo continuerà a muoversi, ad inventare e progettare. D’altra parte, una volta si suonava nelle cantine e ballava per strada e se sarà l’unico modo concesso per un po’, sapremo trovare una soluzione per continuare ad esprimere la nostra passione.

Peace

Federica Albo aka Umana


BALLA COME MANGI

by CECILIA

Ciao a tutti, mi chiamo Cecilia Grosso e sono una ballerina della scuola di danza “Studio 21” da ormai 7 anni. Mi è stata data ‘opportunità di parlare di me non solo in veste di ballerina. Ho 24 anni e attualmente sto frequentando il corso di laurea magistrale in “ Scienze degli alimenti e della Nutrizione umana” presso l’università di Torino. Fin da quando sono ragazzina, l’ambito nutrizionale mi ha sempre affascinato, sia per influenza familiare, in particolare mia mamma è sempre stata molto attenta a educare me e la mia famiglia verso uno stile di vita sano e una corretta alimentazione, sia per mia passione personale.

Durante la mia adolescenza sono subentrate le tipiche fissazioni per il fisico “perfetto”, cominciando a sperimentare vari tipi di “diete” fai da me con esito assolutamente negativo. Con il passare degli anni, ho cominciato ad essere sempre più coinvolta nel mondo nutrizionale e più consapevole del mio corpo ho preso diversi appuntamenti da diverse nutrizioniste per farmi dare consigli nutrizionali adeguati per il mio corpo (consiglio vivamente di non cominciare MAI diete autonome, o cercate su internet, spesso deludenti e altamente pericolose ma di rivolgersi sempre a personale esperto). Così fortemente appassionata decisi di iscrivermi alla facoltà di biologia la quale, mi avrebbe permesso di svolgere l’attuale magistrale che sto compiendo per poter diventare Biologa Nutrizionista. Durante l’università di biologia, ho avuto la possibilità di svolgere un tirocinio con una nutrizionista, che mi ha dato modo di conoscere pienamente questo mondo e soprattutto mi ha dato la possibilità di avere un confronto di persona con i pazienti, conoscere i loro obiettivi, scoprire conflitti con il proprio corpo e immergermi completamente in questo ambito.

Il mio sogno da un po’ di anni è quello di diventare una buona nutrizionista, sia per ampliare e approfondire questa mia passione, che per aiutare gli altri (sportivi e non): piacersi e sentirsi bene con il proprio corpo influisce molto anche sulla performance del ballerino. Mi piacerebbe specializzarmi nella correlazione alimentazione-sport, lavorare nelle palestre, collaborando con personal trainer per poter offrire alle persone un piano completo sia dal punto di vista dell’attività fisica che alimentare, due attività altamente importanti per il raggiungimento di un corpo sano e in salute.

RICORDA però: anche se fai tanta attività fisica, non fare l’errore di mangiare ciò che vuoi, bensì segui sempre uno stile di vita alimentare sano ed adeguato, “sei quello che mangi”!

L’obiettivo di questa rubrica è offrirvi dei semplici consigli da seguire, per chi ne abbia voglia, per scoprire come seguire una corretta alimentazione, non tanto con il fine di raggiungere stereotipi fisici utopici, ma per sentirsi sani e sereni con sé stessi e darvi uno spunto di curiosità per approfondire le vostre conoscenze sull’alimentazione.

Un punto per me fondamentale, che tengo a precisare, è che ognuno di noi deve raggiungere la consapevolezza che ha un corpo diverso dagli altri, mirare a raggiungere fisicità come quelle delle star credo sia un comune errore, in quanto la perfezione è solo un punto di vista. Bisogna puntare a raggiungere il miglior stato di equilibrio psico-fisico per ciascuno, seguendo una buona alimentazione accompagnata da altrettanta adeguata attività fisica.


*STAND UP! FOR…*

Il 2020 per la comunità internazionale della cultura hip-hop segna due momenti indelebili contraddistinti dall’inestimabile perdita di Mr. Babson e Mr. Shabba Doo, e noi vogliamo ricordarli così: 

BABSON

“Creativity has no price “, “I speak house Dance with an african accent”, “one music for every Dance “

Quando si parla di Pionieri lui era uno di quelli in cima alla categoria e non è per fare della retorica. Oltre ad essere un incredibile ballerino, traspariva in lui l’amore per l’insegnamento e la condivisione della qualità, della buona e sana danza che non è da tutti. Purtroppo la comunità hip hop/house ha subito una grave perdita. 

Estratto dell’intervista video originale di Babson:

“Per me la danza é innanzitutto un’energia, é un modo di esprimersi, é un « mood », la danza é un alfabeto, per me é tutto questo, é un’energia che prende senso quando si arriva davvero a impadronirsene e soprattutto a trasmetterla così com’è.

La danza non è per forza l’estetica, dipende dallo stile che pratichi. Ci sono persone che ballano del loro salotto, persone che ballano per celebrare, altre per dimenticare. La danza è un qualcosa di vasto. Siamo noi che abbiamo l’esigenza di definirci o meno bravi ballerini, ma alla base l’importante è che ci faccia star bene.

Per essere un buon ballerino hip hop bisogna amare l’hip hop. Perché ci sono dei bravi ballerini hip hop che non amano l’hip hop. Quando parlo di hip hop parlo di tutta la cultura che ne fa parte. L’hip hop non è solo la danza, ci si deve interessare anche a tutto quello che ha costruito e costruirà l’hip hop. È un’attitudine. Non è solo il fatto di eseguire dei movimenti in un battle, su Instagram o su TikTok. Essere un ballerino hip hop è anche amare la musica, i produttori, amare la old school, la middle school e la new school.

Altrimenti sei un ballerino che balla su dell’Hip Hop music, e non è la stessa cosa.”

Valentina Ariel: “Baba era una persona estremamente intelligente, un visionario, un motivatore, un grande osservatore. Osservava le cose e le persone nel profondo, andava ben oltre la superfice.  E questa è una dote che in pochi hanno. Saro’ grata per sempre a Baba per i suoi insegnamenti, nella danza e nella vita.”

Babson sei stato un ballerino indimenticabile, una stella nella danza. Hai sostenuto questa potente cultura fino alla fine. 

Ousmane Baba ′′ BABSON ′′ Sy

Membro pilastro del Wanted Posse

Co Fondatore di Serial Stepperz

Fondatore – Choregrapher Paradox-Sal

Creatore / Manager / Direttore artistico All4House

Co Direttore Centro Coreografico Nazionale Rennes.

Collettivo F.A.I.R.E

R.I.P. BABSON

SHABBA DOO

Purtroppo ci ha lasciato Adolfo “Shabba Doo” Quinones, una delle leggende della Street Dance, un ballerino che ha ispirato le generazioni delle ultime 4 decadi, compreso me. Lo ricordiamo come membro dei Lockers, ma molti lo conoscevano sopratutto per i film “Breakin” e “Breakin… Electric Boogaloo” insieme a Michael “Boogaloo Shrimp” Chambers e Lucinda Dickey.

Il mio primo contatto con Shabba Doo è un poster che era appeso dentro la hall di un cinema che annunciava la visione del film due mesi dopo, arrivò nell’85, i film erano usciti l’anno precedente con 6 mesi di differenza per cavalcare il fenomeno del Breakin che imperversava per tutto il globo anche grazie a pellicole come “Beat Street” e “Wild Style”.

Quando finalmente riuscii a vedere il film al cinema, ho scoperto che li avrebbero proiettati tutti e due nello stesso giorno, per me fu un’emozione incredibile.

Rimasi scioccato, quel mondo colorato, musica Soul, il rap di Ice T, il Writing, le sfide, ma sopratutto Ozone e Turbo erano come Batman e Robin ma in quell’immaginario che sentivo sussurrare ovunque, quelle due parole che mi cambiarono la vita: HIP HOP.

Shabba Doo era quel supereroe che ballando sconfiggeva la parte oscura del film rappresentata dai Fratelli Piranha con Poppin Pete e Poppin Taco. Naturalmente imperava lo stile di Los Angeles con le sue discipline che all’inizio non capivo totalmente, quei movimenti che rivedevo in parte nei video NYorkesi ma l’estrema musicalità e l’eleganza dei suoi movimenti mi affascinavano, era un ballerino che andava oltre alla Street Dance, aveva dentro un’eredità che arrivava da Hollywood, i musical e la danza che per decenni era presente in quell’immaginario patinato e di gran talento dei ballerini presenti nelle pellicole uscite dagli studi di Los Angeles.

Lui aveva preso la danza nata nel suo ambiente come il Popping e il Locking con i Lockers, pionieri ed innovatori, fino ad arrivare al Breakin nato a New York (ma solo in parte), mischiandolo con le influenze citate prima, ballare a “Soul Train” che era un traguardo per ogni ballerino di quel periodo, il frequentare i Club e apprendere tutti i nuovi stili come il Waacking nati in quel periodo che lo portarono anche a essere il coreografo del video “All Night Long” di Lionel Ritchie, Chaka Khan, Luther Vandross e per il “Virgin Tour” di Madonna e il Fresh Fest Tour nell’85. Il suo modo di esprimersi nel vestiario molto diverso da quello che succedeva nella costa opposta si ispirava a diverse correnti musical culturali come il Jazz, il Funk, il Punk, il nascente Hip Hop, nel Clubbin tutte queste correnti si incontravano e la creatività del ballerino si apriva ad ogni influenza, Shabba Doo portò tutto questo nei suoi Show ispirando un’intera generazione.

Vorrei ringraziarlo per avermi fatto capire l’importanza del messaggio, dell’espressività e della gioia della Danza.

Ha avuto un’influenza importantissima per la mia prima parte di questo viaggio indicandomi una direzione a livello spirituale, anche se poi ho intrapreso strade diverse la sua figura mi è stata da esempio, come lo è stata per tantissimi ballerini e questo accadrà per molto tempo, la Cultura Hip Hop ci ha insegnato a celebrare i Pionieri e trasmettere la Cultura alle nuove generazioni e grazie a questo è l’eredità che Adolfo ci ha lasciato sarà per sempre Eterno.

Grazie Adolfo Quinones

STRITTI

R.I.P. SHABBA DOO


STUDIO21 PLAYLIST by Teddy The Fonzarellis